IL TRIBUNALE DI CATANIA 
                   Seconda sezione civile - Lavoro 
 
    Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale  (articoli  134
della Costituzione e 23 legge 11 marzo 1953 n. 87) emessa nella causa
civile iscritta al n. 7352/2011 R.G.L., avente ad oggetto:  contratti
a termine  -  Consorzio  di  bonifica  regionale  -  conversione  del
rapporto ai sensi del decreto legislativo n.  368/2001  e  successive
modifiche; 
    Promossa da Gandolfo Francesco,  Maccarrone  Domenico,  Massimino
Mario. Sileci Luigi  Orazio,  rappresentati  e  difesi  dall'avv.  C.
Parisi, elettivamente  domiciliati  presso  lo  Studio  dell'avv.  S.
Romeo, in Catania, via Filocomo n. 69; Ricorrenti; 
    Contro Consorzio di Bonifica n. 9  di  Catania,  rappresentato  e
difeso dall'avv. A. Ravi'. elettivamente domiciliato presso lo studio
dello stesso, in Catania, via C. Ruggero n. 37; Resistente; 
    Il giudice, dott, M.  Fiorentino,  letti  gli  atti,  scaduto  il
termine per note concesso alle parti di giorni 60; 
    Esaminate le note tempestivamente depositate il 7 gennaio 2017; 
    Sciolta la riserva che precede, osserva quanto segue; 
1. Premessa. 
    Con i riuniti ricorsi,  le  parti  attrici,  esponendo  di  avere
prestato  attivita'  lavorativa  alle  dipendenze  del  Consorzio  di
Bonifica 9 di Catania, quali operai addetti alla  manutenzione  delle
reti irrigue, in  forza  di  plurimi  contratti  di  lavoro  a  tempo
determinato stipulati  tra  il  2000  e  il  2010,  hanno  agito  per
l'accertamento  della  nullita'  dei  termini  apposti  nei  predetti
contratti  ex  art.  1  decreto  legislativo   n.   368/2001.   della
conseguente natura a tempo  indeterminato  dei  rispettivi  rapporti,
nonche' per la condanna del convenuto  consorzio  alla  reintegra  di
essi ricorrenti nel posto di lavoro e al risarcimento del danno. 
    Hanno dedotto la genericita'  delle  causali  giustificative  dei
termini apposte nei negozi (sempre uguali nel corso  degli  anni,  al
pari delle mansioni svolte), le quali  difetterebbero  del  carattere
della specificita', traducendosi in clausole di mero stile, per nulla
rappresentative delle ragioni tecniche,  organizzative  e  produttive
richieste dall'art. 1 del decreto legislativo n. 368/2001. 
    Si  e'  costituito  tempestivamente   il   Consorzio   eccependo,
preliminarmente, l'intervenuta decadenza  dei  ricorrenti,  ai  sensi
dell'art. 32 legge n. 183/2010, per non avere i medesimi impugnato  i
contratti  nel  termine  di  scadenza  ivi  previsto,  oltre  che  la
prescrizione dei diritti invocati. 
    Nel merito, ha rimarcato l'impossibilita' giuridica di convertire
i rapporti  da  tempo  determinato  a  tempo  indeterminato,  per  le
seguenti ragioni: 
    1) l'ordinamento regionale ha autorizzato i consorzi a  stipulare
solo contratti a tempo determinato (art. 3 legge 76/1995 e successive
proroghe), stabilendo il divieto di assunzioni di  personale  non  di
ruolo (articoli 6 legge regionale n. 14/1958; 3  legge  regionale  n.
49/1981: 32 legge regionale n. 45/1995), per le quali e' richiesta la
regola del pubblico concorso (art. 9 legge n. 14/1958); non potrebbe,
dunque,  trovare  applicazione  la  disciplina  di  cui  al   decreto
legislativo n. 368/2001; 
    2) le assunzioni a tempo indeterminato  per  i  dipendenti  degli
enti  della  regione  Sicilia  presupporrebbero  l'espletamento   del
pubblico concorso, nel caso di specie mancante,  sicche'  i  relativi
rapporti  dovrebbero   considerarsi   nulli,   alla   stregua   della
giurisprudenza di legittimita' espressa  con  specifico  riguardo  ai
contratti a termine non preceduti da  pubblico  concorso  (Cassazione
civile, Sezione lavoro n. 4117/2011): in tal senso  deporrebbe  anche
l'art. 36 del decreto legislativo 165/2001; 
    3) i  termini  apposti  nei  contratti.  cosi  come  le  relative
proroghe,  sarebbero  validamente   apposti,   sicche'   risulterebbe
infondata la dedotta censura di nullita'. 
    All'udienza di discussione del 9 novembre  2016  le  parti  hanno
trattato della questione di nullita'  dei  rapporti,  in  quanto  non
preceduti da alcuna pubblica  selezione,  e  sono  state  invitate  a
discutere della questione  di  costituzionalita'  relativa  al  comma
1-bis, dell'art. 1 legge regionale Sicilia 30 aprile 1991 n. 12, come
introdotto dalla legge regionale Sicilia 19 agosto 1999, n. 18, nella
parte in cui ha fatto venir meno  per  gli  enti  pubblici  economici
dipendenti o sottoposti al controllo della Regione  Sicilia  o  degli
enti locali le procedure pubbliche selettive previste dal primo comma
dello stessa articolo. 
    Dalla costituzionalita' o meno di tale norma,  infatti,  come  si
vedra' in punto di rilevanza, dipende l'esito dell'odierno giudizio. 
2. Questioni preliminari. 
    Prima  di  esporre  i  motivi  di  specifica  rilevanza,   appare
necessario  esaminare,   innanzitutto,   le   eccezioni   preliminari
sollevate dalla parte convenuta, posto che l'eventuale fondatezza  di
una di queste, precludendo a  monte  ogni  possibilita'  di  ritenere
accoglibile la domanda  delle  parti  lavoratrici,  per  ragioni  che
prescindono   dall'applicazione    della    norma    sospettata    di
incostituzionalita',  renderebbe  priva  di  interesse  la   relativa
questione (arg. Corte costituzionale n. 242/2011; 106/2013). 
2.1. Eccezioni di decadenza e prescrizione. 
    Il   Consorzio,   innanzitutto,   ha   sollevato   la   questione
dell'inammissibilita' dei ricorsi, in quanto proposti  in  violazione
del termine di decadenza introdotto, per l'impugnativa dei  contratti
a termine, dall'art. 32 legge n. 183/2010 (c.d. Collegato lavoro). 
    Ha, inoltre, eccepito la prescrizione dei diritti azionati  dalle
parti ricorrenti, ritenendo estinta «ogni pretesa relativa al periodo
antecedente ai 5 anni dalla data di notifica del ricorso». 
    Tali eccezioni appaiono infondate. 
    Quanto all'eccezione di decadenza ex art. 32 legge  n.  183/2010,
basta rilevare che i riuniti ricorsi sono stati proposti in  data  1°
luglio 2011 e, dunque, ben prima che avessero effetto le disposizioni
previste dall'art. 32 legge 183 cit. 
    Sul punto, la giurisprudenza della Suprema Corte di cassazione, a
Sezioni unite, ha chiarito che il differimento al  31  dicembre  2011
dei termini di decadenza di cui all'art. 32 della legge n.  183/2010,
per come previsto dal comma 1-bis (introdotto dal  decreto  legge  n.
225 del 2010, convertito con modificazioni  dalla  legge  n.  10  del
2011), si applica a tutti i contratti ai quali  tale  regime  risulta
esteso (e, dunque, anche ai contratti a termine) e riguarda tutti gli
ambiti di novita' di cui al novellato art. 6 della legge n.  604  del
1966 (Cassazione, Sezioni unite civili 14 marzo 2016, n. 4913). 
    Avendo i ricorrenti proposto domanda giudiziaria ancor prima  che
divenissero efficaci le nuove norme previste dall'art.  32  legge  n.
183/2010, in materia di decadenza, la  relativa  eccezione  formulata
dalla parte convenuta si rivela priva di ragione. 
    Parimenti, avendo ad oggetto  il  giudizio  l'accertamento  della
nullita'  dei  termini  apposti  nei  diversi   contratti   a   tempo
determinato stipulati  tra  il  2000  e  il  2010,  appare  infondata
l'eccezione di prescrizione. 
    Ed infatti, ai sensi dell'art. 1422 del Codice  civile,  l'azione
per far dichiarare la nullita' non e' soggetta a prescrizione,  salvi
gli effetti  dell'usucapione  e  della  prescrizione  dell'azione  di
ripetizione. 
    Al riguardo, anche la giurisprudenza di legittimita' ha  chiarito
che «l'azione diretta a far  valere  la  illegittimita'  del  termine
apposto al contratto di lavoro, per violazione delle disposizioni che
individuano le ipotesi in cui  e'  consentita  l'assunzione  a  tempo
determinato, si  configura  come  azione  di  nullita'  parziale  del
contratto per contrasto con norme imperative ex articoli 1418 e 1419,
comma  2,  codice  civile  di  natura  imprescrittibile»  (Cassazione
civile, Sezione lavoro, 15 novembre 2010, n. 23057). 
    Inoltre, anche ove si ritenesse di dovere applicare il termine di
prescrizione ordinario (quello quinquennale, invocato dal  consorzio,
e' previsto limitatamente alla retribuzione,  ex  art.  2948,  n.  4,
codice civile,  e  peraltro  con  la  decorrenza  prevista  da  Corte
costituzionale  n.  63/1966),  lo   stesso   risulterebbe   utilmente
interrotto  dalla  proposizione  dei  ricorsi,  posto  che  le  parti
ricorrenti hanno documentato di avere stipulato contratti  di  lavoro
anche in epoca successiva al 2000, e cio' in  particolare  nel  2001,
2002, 2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008, 2009, fino al 2010. 
    Le  eccezioni  esaminate,  pertanto,   appaiono   destituite   di
fondamento e,  dunque,  inidonee  ad  escludere  la  rilevanza  della
questione. 
2.2.  Eccezione  di  inapplicabilita'  del  decreto  legislativo   n.
368/2001 in forza dei divieti di assunzione, nonche' del  divieto  di
conversione di cui all'art. 36, comma quinto, decreto legislativo  n.
165/2001. 
    Eccepisce la  parte  convenuta  che  l'ordinamento  regionale  ha
autorizzato i consorzi a stipulare solo contratti a tempo determinato
(art. 3 legge n. 76/1995 e successive proroghe),  stabilendo  divieto
di assunzioni di personale non di ruolo (articoli 6  legge  regionale
n. 14/1958; 3 legge regionale  n.  49/1981;  32  legge  regionale  n.
45/1995), sicche' non potrebbe trovare applicazione la disciplina  di
cui al decreto legislativo n. 368/2001, con conseguente  infondatezza
della domanda attorea. 
    Argomenta, inoltre, il  consorzio,  che  la  chiesta  conversione
sarebbe preclusa dal divieto previsto  dall'art.  36,  comma  quinto,
decreto legislativo  n.  165/2001,  secondo  cui  «la  violazione  di
disposizioni  imperative  riguardanti  l'assunzione  o  l'impiego  di
lavoratori,  da  parte  delle  pubbliche  amministrazioni,  non  puo'
comportare  la  costituzione  di   rapporti   di   lavoro   a   tempo
indeterminato  con  le  medesime  pubbliche  amministrazioni,   ferma
restando ogni responsabilita' e sanzione ...». 
    Tali argomenti non appaiono oggi  sostenibili,  alla  luce  della
giurisprudenza di legittimita' sviluppatasi proprio avuto riguardo ai
consorzi di bonifica, con particolare riguardo a quelli siciliani. 
    In primo  luogo,  la  Corte  ha  evidenziato  che  i  divieti  di
assunzione  previsti  originariamente   dal   legislatore   regionale
siciliano risultano superati dalla legislazione successiva, avendo la
legge regionale n. 76/1995 autorizzato  i  consorzi  a  ricorrere  ad
assunzioni a tempo determinato, con conseguente applicabilita', anche
ai fini  della  conversione,  della  disciplina  di  cui  al  decreto
legislativo n. 368/2001 (in tali termini, Corte di cassazione civile,
Sezione  lavoro  17  luglio  2012  n.  12242;  nello  stesso   senso,
Cassazione civile, Sezione lavoro 2 agosto 2013, n. 18532). 
    In secondo luogo, la Corte, ribadendo che i consorzi in questione
costituiscono enti pubblici economici (sul punto, infra), ha  escluso
che possa trovare applicazione il  divieto  di  conversione  previsto
dall'art.  36  decreto   legislativo   n.   165/2001,   disposizione,
quest'ultima,  riferibile  solo  agli  enti  pubblici  non  economici
ricompresi nell'art. 1 dello stesso decreto (da  ultimo,  Cassazione,
Sezioni unite civili, 9 marzo 2015, n. 4685, par. 14; specificamente,
Cassazione civile, Sezione lavoro 2 agosto 2013, n.  18532;  conformi
anche Cassazione civile, Sezione lavoro, 9 ottobre  2012,  n.  17168;
Cassazione civile, Sezione lavoro, 18 febbraio 2011, n. 4062). 
    Anche  la  giurisprudenza  di  merito  esclude   dall'ambito   di
applicazione del divieto di cui all'art. 36  decreto  legislativo  n.
165/2001 gli enti pubblici economici (Tribunale  di  Ancona,  Sezione
lavoro, 26 febbraio 2015). 
    Del  resto,  la  nozione  di  pubblica  amministrazione  prevista
dall'art. 1, decreto legislativo n. 165/2001, non contempla gli  enti
pubblici economici. 
    Le eccezioni in scrutinio, pertanto, appaiono infondate  e,  come
tali, non in grado di escludere la rilevanza della questione. 
2.3. Inapplicabilita' della  conversione  per  mancanza  di  pubblico
concorso o selezione. Nullita' dei rapporti. La giurisprudenza  delle
Sezioni unite e l'incidenza di quest'ultima nella questione. 
    Parte convenuta, infine,  ha  eccepito  che  la  conversione  dei
contratti a termine risulterebbe preclusa dalla circostanza che,  nel
caso di specie, i ricorrenti sono stati assunti senza il rispetto  di
alcuna  pubblica  procedura  concorsuale  o  selettiva   (circostanza
pacifica tra le parti e confermata  dai  procuratori  delle  medesime
all'ultima udienza del 9 novembre  2016),  in  violazione  di  quanto
prevede l'art. 9 legge regionale n. 14/1958. 
    Anche questo argomento, non appare determinante per escludere  la
rilevanza della questione,  e  cio'  alla  luce  della  piu'  recente
giurisprudenza di  legittimita'  delle  Sezioni  unite,  segnatamente
avuto  riguardo  ai  contratti  stipulati  dalle   parti   ricorrenti
nell'intervallo temporale tra 1999 e fino all'entrata in vigore della
legge regionale siciliana n. 15/2004. 
    Ed infatti, al termine di un'articolata ricostruzione  normativa,
le Sezioni unite  della  Suprema  Corte  hanno  evidenziato  che  «In
fattispecie regolata dalla  legislazione  regionale  siciliana,  dopo
l'entrata in vigore della legge regionale 19 agosto 1999, n. 18,  che
ha aggiunto all'art. 1 della legge regionale 30 aprile 1991,  n.  12,
il comma 1-bis, e prima della entrata in vigore della legge regionale
5 novembre 2004, n. 15, nel caso  di  declaratoria  di  nullita'  del
termine apposto al contratto di lavoro di un dipendente  di  un  ente
pubblico  economico  regionale,  anche  se  sottoposto  a  tutela   o
vigilanza della  Regione,  l'instaurazione  del  rapporto  di  lavoro
indeterminato non e' condizionata dall'obbligo di espletamento di  un
pubblico concorso  o  di  procedure  selettive»  (Cassazione  civile,
Sezioni unite, 9 marzo 2015, n. 4685). 
    La Corte, in  particolare,  ha  escluso  la  vigenza  del  regime
normativo all'uopo invocato  dal  consorzio,  ovverosia  dell'art.  9
legge regionale n. 14/1958  (secondo  cui  «le  nuove  assunzioni  di
personale  sono  fatte  per  pubblico  concorso»),  evidenziando  che
quest'ultimo, per i posti per i quali non si richiedevano  titoli  di
studio  superiori  alla  scuola  dell'obbligo,  e'   stato   dapprima
sostituito dall'art. 1 legge regionale n. 12/1991  (che  ha  previsto
l'applicazione del sistema del collocamento obbligatorio),  poi,  per
gli enti pubblici economici, del tutto soppresso dall'art.  1,  comma
1-bis, legge n. 12/1991,  per  come  introdotto  dall'art.  13  legge
regionale  n.  18/1999,  per  essere  stato  reintrodotto  solo   con
l'entrata in vigore dell'art. 49 della legge  regionale  siciliana  5
novembre 2004 n. 15. 
    E' possibile riassumere  la  ricostruzione  normativa  effettuata
dalla Suprema Corte in quattro distinte fasi: 
    1) il periodo di vigenza dell'art. 9  legge  regionale  7  maggio
1958 n. 14, secondo cui «le nuove assunzioni di personale sono  fatte
per pubblico concorso»; 
    2) il successivo periodo di vigenza dell'art. 1  legge  regionale
30 aprile 1991 n. 12, che, «attenua[ndo] il rigore [delle precedenti]
disposizioni» (Cassazione, Sezioni  unite,  n.  4685/2015,  cit.),  e
richiamando le disposizioni nazionali sul collocamento, ha  stabilito
che «l'Amministrazione  regionale  e  le  aziende  ed  enti  da  essa
dipendenti o comunque sottoposti a controllo, tutela e vigilanza, gli
enti locali territoriali e/o istituzionali, nonche' gli enti da  essi
dipendenti e/o comunque sottoposti a controllo, tutela e vigilanza, e
le unita' sanitarie locali della Sicilia effettuano le assunzioni del
personale da inquadrare in qualifiche  o  profili  professionali  per
l'accesso ai quali e' richiesto il possesso del titolo di studio  non
superiore a quello della scuola dell'obbligo e, ove richiesto, di una
specifica professionalita', ai sensi  dell'art.  16  della  legge  28
febbraio 1987, n.  56,  e  successive  modifiche,  e  delle  relative
disposizioni di attuazione, salva l'osservanza delle disposizioni sul
collocamento obbligatorio»; 
    3) il successivo periodo di vigenza del comma 1-bis  dell'art.  1
legge regionale n.  12/1991,  introdotto  dall'art.  13  della  legge
regionale 19 agosto 1999, n. 18. secondo cui «Al fine di  armonizzare
le  norme  regionali  in  materia  di  assunzioni  alle  disposizioni
dell'art.  9-bis  del  decreto  legge  1°  ottobre  1996,   n.   510,
convertito, con modifiche, dalla legge  28  novembre  1996,  n.  608,
quanto previsto al comma  1  non  trova  applicazione  per  gli  enti
pubblici economici, dipendenti o sottoposti al  controllo,  tutela  e
vigilanza  della  Regione  o  degli  enti   locali   territoriali   e
istituzionali ed al Consorzio  per  le  autostrade  siciliane,  fermo
restando  il  rispetto,  ai  fini  delle  assunzioni  ivi   previste,
dell'art. 3 della presente legge  (posti  non  rientranti  in  quelli
previsti dall'art. 1) e degli ordinamenti propri dei  medesimi  enti»
La  Corte  di  cassazione  ha,  al  riguardo,   precisato   che   «La
legislazione della Regione Sicilia  alla  fine  degli  anni  novanta,
dunque, per l'amministrazione regionale e per tutti gli enti  locali,
territoriali  e  non,  ad  essa   comunque   riconducibili,   dettava
disposizioni che consentivano il reclutamento dei dipendenti  addetti
alle qualifiche e ai profili professionali di piu' modesto  contenuto
con le modalita' previste dalla legge 28 febbraio 1987, n.  56,  art.
16, ovvero "sulla base di selezioni effettuate tra gli iscritti nelle
liste di collocamento ed in quelle di mobilita' a condizione che essi
abbiano i requisiti richiesti".  Unica  condizione  prevista  per  la
selezione  era  che  gli  iscritti  a  tali  liste  fossero   avviati
numericamente secondo l'ordine di graduatoria risultante dalle  liste
delle circoscrizioni territorialmente competenti. Da  tale  forma  di
selezione (estremamente semplificata) erano esclusi "gi enti pubblici
economici, dipendenti o sottoposti al controllo, tutela  e  vigilanza
della Regione o degli enti locali territoriali e istituzionali",  per
i quali rimaneva  fermo  solo  l'obbligo  di  espletare  il  pubblico
concorso per i posti  per  i  quali  l'accesso  prevedeva  un  titolo
superiore a quello della scuola  dell'obbligo»  (Cassazione,  Sezioni
unite, n. 4685/2015, cit., par. 16; v. anche par. 18.2).; 
    4) il successivo periodo,  allorquando  e'  stato  introdotta  la
legge regionale 5 novembre 2004 n. 15,  la  quale,  all'art.  49,  ha
stabilito che «L'Amministrazione regionale, le aziende ed enti  dalla
stessa  dipendenti  o  comunque  sottoposti  a  controllo,  tutela  e
vigilanza, gli enti locali territoriali do istituzionali, le  aziende
sanitarie locali, nonche' gli enti  da  essi  dipendenti  e  comunque
sottoposti a controllo, tutela e vigilanza, effettuano le  assunzioni
del  personale  da  inquadrare  in  qualifiche,  livelli  o   profili
professionali per l'accesso ai quali e'  richiesto  il  possesso  del
titolo di studio non superiore a quello  della  scuola  dell'obbligo,
mediante concorso per titoli, integrato, qualora  sia  richiesta  una
specifica professionalita', da una prova  d'idoneita',  nel  rispetto
dei  principi  contenuti  nel  comma  3  dell'art.  35  del   decreto
legislativo 30  marzo  2001,  n.  165,  ferma  restando  la  speciale
disciplina in materia di assunzione dei  soggetti  appartenenti  alle
categorie protette, di cui al comma 2 del medesimo articolo». 
    La  Corte  ha  precisato  che  «Il  complesso  normativo   appena
sintetizzato, secondo le scansioni temporali  derivanti  dall'entrata
in vigore delle singole fonti normative, costituisce dunque la  nuova
disciplina delle assunzioni alle dipendenze delle  amministrazioni  e
degli enti pubblici  regionali,  che  sostituisce  quella  originaria
della legge del 1958, da considerare ormai abrogata base  ai  normali
principi in materia di successione delle leggi» (Cassazione,  Sezioni
unite, n. 4685/2015, cit.). 
    Ha, inoltre, evidenziato che la mancanza di  procedure  selettive
non determina la nullita' dei rapporti  di  lavoro  e  non  preclude,
pertanto, la loro conversione a  tempo  indeterminato  ai  sensi  del
decreto legislativo n. 368/2001,  ove  le  assunzioni  del  personale
siano intervenute nel periodo di vigenza dell'art.  1.  comma  1-bis,
legge regionale n. 12/1991, come introdotto dalla legge regionale  n.
18/1999, e  fino  all'entrata  in  vigore  della  legge  regionale  5
novembre 2004, n. 15. 
    In tal senso, le Sezioni unite hanno espressamente affermato  che
il comma 1-bis ha fatto venir meno «per gli enti  pubblici  economici
ivi indicati quel residuo velo di concorsualita' previsto  per  tutti
gli altri soggetti pubblici ... ne consegue che  la  declaratoria  di
nullita' del termine apposto al contratto di lavoro di un  dipendente
di un ente pubblico economico regionale, anche se sottoposto a tutela
o  vigilanza  della  Regione,  non  e'  condizionata   dall'esistenza
dell'obbligo  di  espletamento   delle   procedure   selettive»   (v.
Cassazione,  Sezioni  unite,  4685/2015  cit.,  par.  18.2.,   ultima
proposizione). 
    Per converso, ai di fuori del periodo di vigenza del comma 1-bis.
art. 1 cit.,  la  Corte  ha  ribadito  i  precedenti  indirizzi,  che
negavano la possibilita' di conversione del rapporto  in  assenza  di
pubblico concorso, specificando che con  l'entrata  in  vigore  della
legge regionale n. 15/2004, «la reintroduzione di una  concorsualita'
qualificata o, comunque, semplificata per le assunzioni impedisce, di
conseguenza,  l'automatica  trasformazione  del  contratto  a   tempo
determinato a tempo indeterminato»  (Cassazione,  Sezioni  unite,  n.
4685/2015 cit., par. 18.3). 
    Alla luce di quanto  premesso,  appare  chiaro  che,  secondo  la
giurisprudenza. delle Sezioni unite della Suprema Corte, l'assenza di
pubbliche selezioni, nelle assunzioni degli enti  pubblici  economici
siciliani per posti non richiedenti  titoli  di  studio  superiori  a
quelli della scuola dell'obbligo,  impedisce  la  conversione  di  un
rapporto a tempo determinato solo ove questo sia stato  stipulato  al
di fuori dell'arco temporale di vigenza  dell'art.  1,  comma  1-bis,
legge regionale siciliana n. 12/1991. 
    I rapporti stipulati nel periodo  di  sua  vigenza,  invece,  non
possono essere ritenuti nulli, perche' conformi a legge. 
    L'eccezione di nullita' sollevata dal Consorzio, per assenza  del
pubblico  concorso,  alla  luce  dell'attuale  quadro   normativo   e
giurisprudenziale, appare, pertanto, accoglibile solo con riguardo ai
rapporti stipulati tra le parti dopo l'entrata in vigore della  legge
regionale n. 15/2004 (quando, con la formulazione  dell'art.  49,  la
regola del pubblico  concorso  e'  stata  ripristinata  anche  per  i
profili di base), ma non anche con riferimento a quelli stipulati tra
2000 e fino all'entrata in vigore della legge  regionale  n.  15/2004
(si tratta nel complesso, come si vedra', di ben 14 rapporti). 
    Anche tale  eccezione,  pertanto,  a  legislazione  invariata,  e
tenuto conto del chiaro indirizzo espresso dalle Sezioni  unite,  non
consente di definire il giudizio indipendentemente dalla questione di
costituzionalita'. 
3. La norma impugnata. 
    La ricostruzione del quadro normativo offerta dalle Sezioni unite
della Corte di Cassazione, e  la  soluzione  da  queste  adottata  in
merito alla conversione dei rapporti stipulati in assenza di pubblica
selezione, nel periodo di vigenza dell'art. 1, comma  l-bis,  regione
siciliana,  n.  12/1991,  per  come  introdotto  dall'art.  13  legge
regionale siciliana 19 agosto 1999 n. 18, porta a ritenere  rilevante
e  non  manifestamente  infondata  la   questione   di   legittimita'
costituzionale del predetto art. 1, comma 1-bis legge n. 12/1991  (1)
. 
    Tale disposizione «disapplica», per gli enti  pubblici  economici
dipendenti a vario titolo dalla Regione,  le  procedure  di  pubblica
selezione  previste  dall'art.  1,  comma  1,  per  il  personale  da
inquadrare in qualifiche o profili professionali per i quali non  sia
richiesto un titolo di  studio  superiore  alla  scuola  dell'obbligo
(art. 16 legge 28 febbraio 1987 n. 56),  disancorando  le  assunzioni
del detto personale da qualsiasi forma pubblica  di  selezione  o  di
concorsualita', ancorche' attenuata o  semplificata,  e  riconoscendo
cosi totale liberta' agli enti pubblici economici di stabilire  come,
quando, e soprattutto chi, assumere. 
    La sua permanenza nell'ordinamento  giuridico.  sia  pure  per  i
rapporti per i quali e'  temporalmente  applicabile  (come  parte  di
quelli  oggetto  del  presente  giudizio),  e  gli  effetti  da  essa
discendenti - come la  possibilita'  di  ritenere  conformi  a  legge
rapporti non preceduti da alcuna pubblica selezione -  giustifica  la
proposizione della questione per le  seguenti  ragioni  in  punto  di
rilevanza e non manifesta infondatezza. 
4. Rilevanza. 
    La  questione  sollevata  e'  rilevante,  posto  che  dalla   sua
soluzione dipende l'esito della causa. 
    Nessun dubbio  puo'  residuare  sull'applicabilita'  della  norma
impugnata al caso di specie, sussistendone  tutti  i  presupposti  di
operativita',  sia  con  riguardo  alla  natura  dell'ente   pubblico
coinvolto, sia con riferimento alla tipologia dei posti  oggetto  dei
contratti di assunzione. 
    Con riguardo al primo  aspetto,  si  rileva  che  i  consorzi  di
bonifica siciliani,  ivi  compreso  l'odierno  convenuto,  sono  enti
pubblici  economici  sottoposti  alla  vigilanza  e  controllo  della
Regione. Cio' si ricava dalla semplice lettura della legge  regionale
Sicilia 25 maggio 1995 n. 45 (Gazzetta Ufficiale,  Regione  siciliana
29 maggio 1995,  n.  29)  ed  e'  stato  ribadito  piu'  volte  dalla
giurisprudenza di legittimita' (Cassazione civile, Sezione lavoro  n.
2525/1992; n. 12242/2012; 18532/2013) (2) . 
    Sotto il secondo profilo, si evidenzia che,  come  risulta  dalla
documentazione in  atti  (cfr.  contratti  assunzione,  qualifiche  e
mansioni ivi  dedotte)  e  come  riferito  dagli  stessi  procuratori
all'udienza. che precede, i contratti  a  termine  oggetto  di  causa
riguardano posti di qualifica o inquadramento per i  quali  non  sono
richiesti titoli superiori a quelli della scuola dell'obbligo. 
    Ben 14 dei detti contratti risultano stipulati durante la vigenza
della disposizione impugnata, avendoli i  ricorrenti  conclusi  nelle
seguenti annualita': Maccarrone e Massimino nel 2000, nel 2001 e  nel
2002; tutti i ricorrenti nel 2003, nel 2004 (gennaio), oltre che  nel
2005, nel 2006, nel 2007, nel 2008  e  fino  al  2009;  i  ricorrenti
Massimino e Gandolfo nel 2010 (cfr. fascicoli di parte, in atti). 
    Cio' posto, va osservato quanto segue. 
    Gli odierni attori, per stipulare i contratti a  termine  oggetto
di causa, non hanno partecipato ad  alcuna  pubblica  selezione,  ne'
sono stati individuati tramite le  graduatorie  del  collocamento  ex
art. 16 legge n. 56/1987, come risulta dalle dichiarazioni a  verbale
rese all'udienza del 9 novembre 2016 e come e' pacifico tra le parti,
alla luce degli atti introduttivi di causa. 
    Essi, pertanto, non sono stati  sottoposti  ad  alcuna  forma  di
concorsualita', sia pure «attenuta» o «semplificata», e non  e'  dato
comprendere, neppur a seguito del termine per note concesso, in  base
a quali criteri siano stati reclutati. 
    Le causali  giustificative  dei  termini  apposte  nei  contratti
appaiono  particolarmente  generiche,  in  quanto  si  traducono   in
clausole di mero  stile,  peraltro  con  motivazioni  sostanzialmente
reiterate in ogni contratto. 
    Esse,  pertanto,  non   appaiono   rispondere   ai   criteri   di
specificita'  previsti  dalla  legge  (art.  1  e  seguenti   decreto
legislativo n. 368/2001),  per  come  chiariti  dalla  giurisprudenza
costituzionale e di legittimita' (Corte costituzionale 14 luglio 2009
n. 214; da ultimo, v. Cassazione  civile,  Sezioni  unite,  14  marzo
2016, n. 4911). 
    Del pari, con riguardo ai contratti conclusi  prima  dell'entrata
in vigore del decreto legislativo n. 368/2001, non appaiono ricorrere
presupposti previsti  dalla  pregressa  legislazione  per  la  valida
stipula dei contratti a tempo determinato (art. l e seguenti legge n.
230/1962). Dagli atti, infatti, non emerge che l'attivita'  espletata
rivestisse il prescritto requisito  di  specialita'  (come  richiesto
dall'art. 1. lettera  a)  legge  n.  230  cit.);  le  assunzioni  non
risultano disposte per sostituire lavoratori assenti (art. 1, lettera
b) legge 230 cit.), ne'  appaiono  preordinate  per  l'esecuzione  di
un'opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo  aventi
carattere straordinario od occasionale (art. 1, lettera c) legge  230
cit.); ne' risulta che siano state disposte per la  realizzazione  di
opere richiedenti lavorazioni a  fasi  successive  che  presuppongono
maestranze diverse (art. 1, lettera  d)  legge  230  cit.);  si  puo'
infine  escludere  per  tabulas  che  le   assunzioni   riguardassero
personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli (art. 1,
lettera e) legge 230 cit.) o che fossero state effettuate da  aziende
di trasporto aereo o da  aziende  esercenti  i  servizi  aeroportuali
(art. 1, lettera f) legge 230 cit.). 
    La rilevata assenza  dei  presupposti  di  legge  per  consentire
l'apposizione del termine e, in ogni modo,  la  rilevata  genericita'
delle clausole apposte nei contratti stipulati sotto la  vigenza  del
decreto legislativo n. 368/2001,  appaiono  tali  da  determinare  la
nullità-inefficacia dei detti termini (art. 1 decreto legislativo  n.
368/2001; art. 1 e seguenti, legge n. 230/1962)  e,  dunque,  ove  il
rapporto sia ritenuto validamente costituito,  la  «conversione»  dei
contratti, da tempo determinato a tempo indeterminato. 
    Diviene, pertanto, necessario stabilire se i rapporti  di  lavoro
possano essere reputati legittimi  ovvero  nulli  ex  art.  2126  del
Codice civile,  come  ritiene  il  Consorzio,  per  violazione  delle
disposizioni di cui agli articoli 3, 97 e 51 della Costituzione,  non
potendo  disporsi  la  chiesta  conversione,  ancorche'  le  clausole
appositive  dei  termini  siano  effettivamente  inefficaci,  ove  il
rapporto debba essere considerato geneticamente invalido, mancando in
tal caso un valido titolo costitutivo dello stesso (in tal senso,  v.
Cassazione civile, Sezione lavoro 7 maggio 2008 n. 11163; 4117/2011). 
    Come gia' evidenziato,  l'eccezione  di  nullita'  sollevata  dal
Consorzio, per assenza di pubblica selezione, alla luce  dell'attuale
quadro normativo e giurisprudenziale,  appare  accoglibile  solo  con
riguardo ai rapporti stipulati tra le parti dopo l'entrata in  vigore
della legge regionale n. 15/2004. ma  non  anche  con  riferimento  a
quelli stipulati tra il 2000 e fino all'entrata in vigore della legge
regionale n. 15/2004. 
    Questi ultimi, infatti,  proprio  in  forza  dell'art.  1.  comma
l-bis,  legge  regionale  n.  12/1991,  quanto  all'assenza  di  ogni
pubblica forma di selezione, devono essere ritenuti conformi a  legge
regionale (ordinaria), che in tal senso dispone. 
    Sicche', in assenza di una declaratoria di incostituzionalita' di
tale norma, non e' possibile rilevare la nullita' dei detti  rapporti
ex art. 2126 del Codice  civile,  non  essendo  previsto  nel  nostro
ordinamento un sindacato diffuso sulla costituzionalita' delle  leggi
ordinarie e non potendo, pertanto, il giudice ordinario  disapplicare
la legge ritenuta incostituzionale. 
    Si comprende appieno, pertanto, la rilevanza della questione. 
    Ove   la   disposizione   impugnata   dovesse   essere   ritenuta
costituzionalmente illegittima, verrebbe meno, e con effetti ex tunc,
quanto da essa previsto. 
    In tal caso, la domanda delle parti  ricorrenti  dovrebbe  essere
rigettata.  con   accoglimento   dell'eccezione   preliminare   della
convenuta, per la nullita'  dei  rapporti,  in  quanto  stipulati  in
assenza di forme di selezione pubblica, in  violazione  dei  principi
generali di cui all'art. 97 della Costituzione, nonche' della  stessa
disposizione di cui all'art. 1, comma 1, legge regionale n. 12/1991. 
    Verrebbe, infatti, a mancare, e con efficacia retroattiva, quella
norma che, in deroga ai summenzionati disposti, autorizzava gli  enti
pubblici economici siciliani ad assumere senza il rispetto di  alcuna
formalita' (3) . 
    Per  converso,  ove  fosse  confermata  la   legittimita'   della
disposizione di legge impugnata, cio'  condurrebbe  alla  conversione
dei rapporti stipulati fino all'entrata  in  vigore  della  legge  n.
15/2004, attesa la rilevata genericita' delle clausole appositive dei
termini e l'assenza di vizi genetici del vincolo negoziale. 
    Ne consegue che, preso atto, peraltro, della giurisprudenza della
Suprema Corte a Sezioni unite sopra ricordata, diviene  assolutamente
necessaria la verifica di costituzionalita' dell'art. 1, comma 1-bis,
legge n. 12/1991, per stabilire se i diversi rapporti  stipulati  tra
il 2000 e l'entrata in vigore dell'art. 49  legge  regionale  sic.  5
novembre 2004 n. 15 (che, come gia'  ricordato,  ha  reintrodotto  la
regola del pubblico concorso  per  tutti  i  profili  professionali),
siano o meno suscettivi di essere convertiti in rapporti di lavoro  a
tempo  indeterminato  ovvero  debbano  essere  ritenuti  affetti   da
nullita', con accoglimento dell'eccezione preliminare sollevata dalla
convenuta. 
    Ad escludere la rilevanza della questione, non  puo'  opporsi  il
rilievo che l'eccezione di nullita' appare fondata avuto riguardo  ai
contratti stipulai dopo l'entrata in vigore dell'art. 49 della  legge
regionale n. 15/2004, ovverosia tutti i  contratti  sottoscritti  dal
2005 in poi. 
    Invero, la nullita' di detti rapporti lavorativi non  preclude  -
ma anzi accentua - la necessita' di esaminare  i  rapporti  contratti
prima, sotto la vigenza dell'art. 1, comma 1-bis, legge regionale  n.
12/1991, atteso che la nullita' del termine apposto anche ad uno solo
di questi ultimi darebbe  luogo  alla  conversione  del  rapporto,  a
prescindere dalla validita'  di  tutti  gli  altri,  con  conseguente
diritto delle parti ricorrenti  ad  essere  riammesse  nel  posto  di
lavoro. 
    Non sono, infine, realisticamente prospettabili, come  si  vedra'
al termine, interpretazione costituzionalmente orientate della  norma
(infra, § 6.). 
5. Non manifesta infondatezza. 
    L'art. 1, comma 1-bis,  legge  regionale  n.  12/1991,  per  come
introdotto dall'art.  13  legge  regionale  19  agosto  1999  n.  18,
temporalmente  applicabile  avuto  riguardo  ai  rapporti  di  lavoro
intercorsi tra le parti dal 2000 al 2004, dispone: 
    «Al  fine  di  armonizzare  le  norme  regionali  in  materia  di
assunzioni alle disposizioni dell'art. 9-bis  del  decreto  legge  1°
ottobre 1996, n, 510,  convertito,  con  modifiche,  dalla  legge  28
novembre  1996,  n.  608,  quanto  previsto  al  comma  1  non  trova
applicazione per enti pubblici economici, dipendenti o sottoposti  al
controllo, tutela e vigilanza  della  Regione  o  degli  enti  locali
territoriali e  istituzionali  ed  al  Consorzio  per  le  autostrade
siciliane, fermo restando il rispetto, ai fini delle  assunzioni  ivi
previste, dell'art. 3 della presente legge e degli ordinamenti propri
dei medesimi enti». 
    Come si  desume  dalla  stessa  interpretazione  elaborata  dalle
Sezioni unite della Cassazione, sopra ricordata, la  disposizione  in
scrutinio, relativamente ai posti per i quali non  risulta  richiesto
titolo di  studio  superiore  a  quello  della  scuola  dell'obbligo,
sancisce: 
    1) la disapplicazione, con riguardo alle  assunzioni  degli  enti
pubblici economici, del sistema di reclutamento  attuato  tramite  il
collocamento, previsto dall'art.  1,  comma  1,  legge  regionale  n.
12/1991; 
    2) la disapplicazione di qualsiasi altra forma di concorsualita'. 
    A tali conclusioni, del resto, depone  la  chiara  lettera  della
disposizione, la quale, nel disapplicare il sistema di cui alla legge
n. 56/1987, tiene ferma la regola del pubblico  concorso  solo  avuto
riguardo ai posti previsti dal successivo art. 3 (posti per  i  quali
si  richiede  titolo  di  studio  superiore  a  quello  della  scuola
dell'obbligo) (4) . 
    Si ritiene che l'art. 1, comma 1-bis, legge regionale n. 12/1991,
per come introdotto dall'art. 13 legge regionale 19  agosto  1999  n.
18, sia affetto dai seguenti vizi di costituzionalita'. 
    I) Violazione dell'art. 3 della Costituzione; irragionevolezza. 
    La norma appare, innanzitutto, irragionevole,  in  violazione  di
quanto prescrive l'art. 3 della Costituzione. 
    Essa,  infatti,  senza  alcun  plausibile  motivo,   esonera   le
assunzioni del personale  ivi  indicato  -  al  contrario  di  quelle
previste dall'art. 3 della medesima legge regionale n. 12/1991  -  da
ogni forma di pubblica selezione, riconoscendo cosi' totale  liberta'
agli enti pubblici economici di stabilire come, quando, e soprattutto
chi, assumere, in spregio ai piu' elementari principi di eguaglianza,
trasparenza ed imparzialita'. 
    Si noti che, sin dalla legge regionale n. 14 del 7 maggio 1958  e
fino all'introduzione  del  comma  1-bis  dell'art. 1  in  esame,  il
legislatore regionale aveva ritenuto di  assoggettare  le  assunzioni
del personale  degli  enti  pubblici  economici  o  alla  regola  del
pubblico concorso prevista  dall'art.  9,  legge  n.  14/1958  (norma
ritenuta applicabile anche agli enti in questione,  cfr.  Cassazione,
Sezioni unite n. 4685/2015, par. 15.1.;  Cassazione  civile,  Sezione
lavoro n.  11163/2008)  ovvero,  a  seguito  dell'entrata  in  vigore
dell'art. 1, comma 1, legge n. 12/1991, al sistema  del  collocamento
obbligatorio previsto dalla  56/1987.  anch'esso  considerabile  come
mezzo  di  pubblica  selezione  idoneo  a  garantire  i  principi  di
imparzialita'  e  trasparenza,  in  quanto  basato   su   graduatorie
pubbliche formate alla stregua di criteri obiettivi e predeterminati. 
    La   stessa    Corte    costituzionale,    pochi    anni    prima
dell'introduzione  della  norma  in  valutazione  e   con   specifico
riferimento alla legislazione regionale siciliana, aveva ribadito  la
necessita' di rispettare la regola del pubblico  concorso  anche  con
riguardo agli enti pubblici economici (Corte costituzionale 17 giugno
1996 n. 205, su cui, piu' ampiamente, infra). 
    La decisione di prevedere un esonero totale da qualsiasi forma di
pubblica selezione, come quella  adottata  con  la  disposizione  qui
impugnata per i posti di  modesto  contenuto  professionale,  appare,
pertanto, irragionevole e, come tale, illegittima  sotto  il  profilo
della violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Non vi e' alcun motivo che possa  sorreggere  tale  scelta,  come
peraltro  comprova  la   successiva   determinazione   dello   stesso
legislatore regionale di reintrodurre la regola del pubblico concorso
anche con riguardo ai posti in questione (art. 49 legge n.  15/2004),
con  l'ulteriore  illogica   conseguenza   -   stando   alla   stessa
giurisprudenza delle  Sezioni  unite  piu'  volte  citata  -  che  la
«conversione»  dei  rapporti  a  termine  contratti  senza   pubblico
concorso sarebbe possibile solo nell'intervallo temporale di  vigenza
della disposizione impugnata (in  tal  senso,  Corte  di  cassazione,
Sezioni unite n. 4685/2015, analiticamente citata, supra § 2.3.). 
    Ne', a sorreggere tale decisione, puo' reputarsi  il  mero  fine,
dichiarato in seno al comma 1-bis, di «armonizzare le norme regionali
in materia  di  assunzioni  alle  disposizioni  dell'art.  9-bis  del
decreto legge 1° ottobre  1996  n.  510,  convertito  in  legge,  con
modifiche, in legge 28 novembre 1996 n. 608...». 
    Ed infatti, le disposizioni dell'art. 9-bis del decreto legge  n.
510/1996,  nella  formulazione  vigente  all'epoca  dell'introduzione
dell'art. l, comma 1-bis, legge  regionale  n.  12/1991,  non  recano
alcuna previsione che richieda, imponga ovvero  giustifichi  un  tale
esonero. 
    L'art. 9-bis, decreto legge n. 510/1996, nella  formulazione  che
rileva ratione temporis,  infatti,  stabilisce  che  «nell'ambito  di
applicazione della disciplina del collocamento ordinario, agricolo  e
dello spettacolo, i datori di lavoro  privati  e  gli  enti  pubblici
economici procedono  a  tutte  le  assunzioni  nell'osservanza  delle
disposizioni di legge vigenti in materia. Restano ferme le  norme  in
materia di iscrizione dei  lavoratori  nelle  liste  di  collocamento
nonche' le disposizioni di cui all'art. 8  della  legge  30  dicembre
1986, n. 943, e dell'art. 2, del decreto-legge  31  luglio  1987,  n.
317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3  ottobre  1987,  n.
398» (comma 1). 
    L'art. 9-bis  decreto  legge  n.  510  cit.,  poi,  si  limita  a
disciplinare le modalita' di esecuzione degli adempimenti previsti in
materia di comunicazione dell'assunzione  (commi  2,  3,  4,  6),  le
modalita' di fruizione dei benefici eventualmente previsti (comma 5),
le sanzioni in caso di inosservanza dell'obbligo  di  riserva  (comma
7), l'organizzazione degli uffici di vigilanza c di ispezione  (commi
8, 9, 10, 14), le  modalita'  di  individuazione  dei  lavoratori  da
avviare al lavoro nelle pubbliche  amministrazioni,  secondo  criteri
oggettivi e trasparenti (commi 11, 12),  la  razionalizzazione  delle
procedure relative  agli  adempimenti  da  osservare  (commi  13),  i
ricorsi da esperire avverso i  provvedimenti  adottati  dagli  uffici
provinciali (comma 15). 
    Il richiamo effettuato  all'art.  9-bis,  del  decreto  legge  n.
510/1996, appare pertanto inidoneo a giustificare la scelta  prevista
di consentire l'assunzione del personale senza il rispetto di  alcuna
procedura  pubblica  deputata  a  garantire  l'imparzialita'   e   la
trasparenza nelle selezioni, non essendo  tale  percorso  imposto  da
alcuna effettiva necessita' di armonizzazione, ne'  da  alcuna  altra
esigenza, difatti neppure indicata dal legislatore regionale. 
    Del resto, come si vedra' piu' ampiamente nel seguente motivo, la
stessa giurisprudenza costituzionale ha  ripetutamente  ribadito  che
l'eccezione alla regola  del  pubblico  concorso  deve  rispondere  a
peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico (ex  multis,
Corte costituzionale 9 novembre 2006, n. 363) e cio'  avuto  riguardo
anche alle assunzioni disposte dagli enti  pubblici  economici  della
Regione Sicilia (Corte costituzionale 17 giugno 1996 n. 205). 
    Nel  caso  di  specie,  tali  presupposti  non  appaiono  neppure
prospettati dal legislatore regionale. 
    Per tali ragioni, la disposizione impugnata non appare rispettosa
del parametro costituzionale della ragionevolezza, ex  art.  3  della
Costituzione. 
    II) Violazione degli articoli 97, 51 e 3 della Costituzione. 
    La disposizione impugnata  appare  inoltre  in  contrasto  con  i
principi previsti dagli articoli  97,  51  e  3  della  Costituzione,
secondo cui i pubblici uffici sono  organizzati  in  modo  che  siano
assicurati  il  buon  andamento,  l'imparzialita',   la   trasparenza
dell'amministrazione (art. 97, primo comma),  il  relativo  personale
deve essere  assunto  mediante  pubbliche  selezioni,  salvo  i  casi
stabiliti dalla legge (art. 97, terzo comma), nell'accesso  ai  posti
occorre garantite parita' di condizioni, formali e  sostanziali,  tra
tutti i cittadini (articoli 51 e 3 della Costituzione). 
    L'applicabilita' dei principi desumibili dagli articoli 97, 51  e
3 della Costituzione agli  enti  pubblici  economici  trova  conferma
nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale. 
    Quest'ultima,   infatti,   ne    ha    espressamente    predicato
l'applicabilita' con riguardo alle  assunzioni  degli  enti  pubblici
economici  della  Regione  siciliana,   allorquando   ha   dichiarato
l'incostituzionalita' della legge approvata dall'Assemblea  regionale
siciliana il 19 ottobre 1995, riguardante le norme per  il  personale
dell'E.S.A., la cui natura di ente pubblico economico  regionale  era
stata gia' affermata dalla giurisprudenza di legittimita' (sul punto,
cfr. Cassazione civile, Sezione II, 11 aprile 2001, n. 5424). 
    Al riguardo, la  Corte  costituzionale  ha  evidenziato  che  «e'
fondata l'ulteriore censura del Commissario dello Stato, secondo  cui
la Regione sarebbe incorsa nella violazione degli  articoli  3  e  51
della Costituzione, avendo nella sostanza disposto  l'assunzione  "ad
personam" dei singoli borsisti, in contrasto  con  il  principio  del
pubblico concorso» (Corte costituzionale 17 giugno 1996 n. 205). 
    L'applicabilita'  agli  enti  pubblici  economici  dei  superiori
principi costituzionali  risulta  confermata,  piu'  di  recente,  da
ulteriori pronunce della Corte, che li  ha  ritenuti  operanti  anche
alle assunzioni disposte dalle societa' «partecipate», nonostante  la
natura formalmente privata di tali organismi. 
    Al riguardo, e' stato  rilevato  che  «l'assenza  di  criteri  di
trasparenza, pubblicita'  e  imparzialita'  per  il  reclutamento  di
personale delle  societa'  a  partecipazione  pubblica  totale  o  di
controllo» implica una violazione dell'art.  97  della  Costituzione,
oltre che delle norme interposte,  nonche'  del  principio  del  buon
andamento (in tal senso, Corte costituzionale, 3 marzo 2011 n. 68, §.
12.2.). 
    In tale occasione, la Corte ha  dichiarato  l'incostituzionalita'
dell'art. 30 della legge della Regione Puglia n. 4  del  2010,  nella
misura in cui prevedeva l'assunzione a tempo indeterminato,  anziche'
l'utilizzo,  del  personale  della  precedente  impresa  o   societa'
affidataria dell'appalto, senza  una  pubblica  selezione,  per  cio'
ritenendo la detta legislazione regionale irrispettosa  dei  principi
desumibili dall'art. 97 della Costituzione. 
    L'applicabilita'  dei  principi  previsti  dall'art.   97   della
Costituzione  alle   assunzioni   dei   dipendenti   delle   societa'
partecipate rende evidente come gli stessi  non  possano  che  essere
applicati,  a  fortiori,  al  regime  delle  assunzioni  degli   enti
pubblici, ancorche'  questi  svolgano  attivita'  economiche  secondo
criteri di economicita' tipici delle imprese private. 
    Trattasi infatti di soggetti pubblici che devono  necessariamente
sottostare ai principi di imparzialita', trasparenza e buon andamento
sanciti dall'art. 97 della Costituzione. 
    Appare, quindi, in contrasto, con tali canoni ammettere - come fa
la norma impugnata - che tali enti godano di assoluta liberta'  nella
scelta del  personale  da  assumere,  proprio  perche'  cio'  implica
inevitabile violazione dell'imparzialita' e della  trasparenza  delle
scelte, che si traducono, inevitabilmente, nella  frustrazione  delle
esigenze  di  buon  andamento  degli  apparati  pubblici,  come  gia'
rilevato dalla Corte costituzionale, con riguardo agli enti  pubblici
economici regionali, nella citata sentenza n. 205/1996. 
    Ne' tale opzione, nel caso di specie, puo' ritenersi  ammissibile
e  giustificabile,  dovendosi  considerare  che  la  norma  impugnata
riguarda i posti per i quali non e' richiesto alcun titolo di  studio
superiore a quello della scuola dell'obbligo, sicche' neppure possono
invocarsi  eventuali  esigenze  di  individuazione  dei  soggetti  da
assumere  (intuitu  personae),  in  ragione  della  peculiarita'  del
relativo  profilo  professionale,  nel  caso  di  specie  dei   tutto
inesistenti, trattandosi, appunto, di profili di base. 
    Sul punto, non si puo' omettere di richiamare  la  giurisprudenza
della Suprema Corte,  secondo  cui  «Il  concorso  pubblico  -  quale
meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei piu' capaci
sulla base del criterio del merito - costituisce la forma generale  e
ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni - esso  e'
posto a presidio delle esigenze  di  imparzialita'  e  di  efficienza
dell'azione amministrativa. Le eccezioni  a  tale  regola  consentite
dall'art. 97 della Costituzione, purche' disposte con legge,  debbono
rispondere  a  peculiari  e  straordinarie  esigenze   di   interesse
pubblico; altrimenti la deroga si risolverebbe  in  un  privilegio  a
favore di categorie  piu'  o  meno  ampie  di  persone.  Perche'  sia
assicurata la generalita' della regola del concorso pubblico disposta
dall'art. 97 della Costituzione, l'area delle eccezioni va, pertanto,
delimitata in modo rigoroso» (cosi', ex multis, Corte costituzionale,
9 novembre 2006, n. 363). 
    L'eccezionalita' della deroga  del  pubblico  concorso  e'  stata
ripetutamente   ribadita    dalla    giurisprudenza    della    Corte
costituzionale, anche in tempi recenti (v. Corte  costituzionale,  21
maggio 2014, n. 134, che cita, peraltro, ulteriori pronunce, quali le
sentenze n. 227/2013,  62/2012,  310/2011,  nonche'  la  sentenza  n.
217/2013). 
    La stessa, del resto, risultava gia' affermata dalla Corte, e con
riguardo alla legislazione  regionale  sulle  assunzioni  degli  enti
pubblici  economici,  dichiarata  incostituzionale,  con  la   citata
sentenza 17 giugno 1996 n. 205, secondo cui,  appunto,  «il  concorso
pubblico e' la forma generale di reclutamento nel  pubblico  impiego;
una deroga ad  essa  e'  possibile  solo  in  presenza  di  peculiari
situazioni giustificatrici, nel qual  caso  la  discrezionalita'  del
legislatore nella  scelta  di  un  criterio  diverso  da  quello  del
pubblico concorso trova comunque il suo limite  nella  necessita'  di
garantire il buon andamento della pubblica amministrazione  (sentenza
n. 477 del 1995)». 
    Per quanto premesso, i rilievi qui sollevati non  possono  essere
esclusi dalla natura privatistica dei rapporti di lavoro, dato che la
natura della disciplina  che  regola  il  rapporto,  nella  sua  fase
esecutiva, deve distinguersi dalla  disciplina  riguardante  la  fase
genetica  dello   stesso,   inevitabilmente   attratta   dal   regime
pubblicistico di selezione e dai relativi  principi  di  trasparenza,
imparzialita' e buon andamento ex art. 97, Costituzione. 
    Ne consegue la evidente illegittimita' costituzionale della norma
impugnata, introdotta peraltro dopo la  sentenza  n.  205/1996  della
Corte, posto che, come visto, anche alla  luce  della  giurisprudenza
delle Sezioni unite, la stessa deve essere interpretata nel senso  di
escludere, per il tempo di sua vigenza, l'applicazione  delle  regole
del pubblico  concorso  o  di  qualsiasi  altra  forma  di  selezione
pubblica per l'assunzione nei posti degli enti pubblici economici che
non richiedono titolo  di  studio  diverso  da  quello  della  scuola
dell'obbligo. 
6. Interpretazione costituzionalmente orientata. 
    Per superare i motivi di censura sopra  prospettati,  non  appare
percorribile  una  interpretazione  costituzionalmente  orientata,  a
fronte del chiaro tenore  letterale  della  norma,  che,  come  visto
sopra, sancisce inequivocamente l'esclusione, da  qualsiasi  tipo  di
selezione  pubblica,  ancorche'  attenuata,  delle   assunzioni   ivi
contemplate. 
    Del resto, a tale conclusione e' pervenuta anche la Suprema Corte
di cassazione, a Sezioni unite, nella sentenza n. 4685/2015. 

(1) Per  comodita'  di   lettura,   si   riporta   integralmente   la
    disposizione in esame: «Al fine di armonizzare le norme regionali
    in materia di assunzioni alle disposizioni  dell'art.  9-bis  del
    decreto legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modifiche,
    dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, quanto previsto al comma  1
    non  trova  applicazione  per  gli   enti   pubblici   economici,
    dipendenti o sottoposti al controllo, tutela  e  vigilanza  della
    Regione o degli enti locali territoriali e  istituzionali  ed  al
    Consorzio  per  le  autostrade  siciliane,  fermo   restando   il
    rispetto, ai fini delle  assunzioni  ivi  previste,  dell'art.  3
    della presente legge (posti non  rientranti  in  quelli  previsti
    dall'art. 1) e degli ordinamenti propri dei medesimi enti». 

(2) L'art. 1  della  legge  regionale  Sicilia  n.  45/1995  dispone,
    infatti, che  «La  Regione,  nell'ambito  dei  programmi  per  la
    difesa, conservazione e tutela del suolo, per  la  valorizzazione
    del territorio, per  lo  sviluppo  della  produzione  agricola  e
    dell'irrigazione e  per  la  tutela  dell'ambiente,  promuove  ed
    organizza,  attraverso  i  consorzi  di  bonifica,   di   seguito
    denominati consorzi, la bonifica come mezzo permanente di difesa,
    conservazione,   valorizzazione   e   tutela   del   suolo,    di
    utilizzazione  e   tutela   delle   acque   e   di   salvaguardia
    dell'ambiente». Il successivo art. 5,  comma  4,  precisa  che  i
    consorzi di bonifica «sono persone giuridiche di diritto pubblico
    che svolgono attivita' economica»; il successivo art. 6, comma 1,
    prevede «I consorzi sono costituiti con  decreto  del  Presidente
    della  Regione,  su   proposta   dell'assessore   regionale   per
    l'agricoltura e le foreste «sentito il parere dei consigli  delle
    province   regionali»;   l'art.   20   dispone   che    «Spettano
    all'assessore regionale per l'agricoltura e le  foreste  funzioni
    di vigilanza coordinamento ed  indirizzo.  L'assessore  regionale
    per l'agricoltura e le foreste puo': a)  disporre  ispezioni:  b)
    provvedere, previa diffida, alla nomina di commissari ad acta per
    il compimento di atti obbligatori; c) sciogliere o  revocare  gli
    organi dei consorzi per gravi violazioni di legge o  regolamenti,
    per persistenti inadempienze su atti dovuti,  per  dimissioni  di
    meta' dei componenti»; l'art. 21,  comma  1,  prevede  che  «Sono
    sottoposti all'approvazione della Giunta  regionale  gli  statuti
    dei consorzi e le deliberazioni di assunzione e di  inquadramento
    del personale». L'inquadramento del Consorzio di  Bonifica  9  di
    Catania nell'ambito del sopra delineato sistema regionale risulta
    pacifico tra le parti e confermato dalle informazioni  reperibili
    nel       relativo       sito       internet        istituzionale
    http://www.consorziobonifica9ct.it 

(3) Si e' gia' detto che la nullita' del  rapporto,  per  assenza  di
    pubblica selezione,  e'  stata  riscontrata  costantemente  dalla
    giurisprudenza  della  Suprema  Corte,  in  assenze  di   deroghe
    legislative sulla regola del pubblico concorso (in tal senso,  v.
    Cassazione  civile,  Sezione  lavoro  7  maggio  2008  n.  11163;
    4117/2011). 

(4) Dispone l'art. 3  legge  regionale  Sicilia  n.  12/1991:  «salvo
    quanto previsto da speciali disposizioni di legge, per  l'accesso
    ai posti non rientranti tra quelli indicati all'art. 1, gli  enti
    ivi   previsti   procedono   all'assunzione   mediante   pubblici
    concorsi».